Vocalmente umani [O novo canto #02]

Fonazione

Molta della musica strumentale che ascoltiamo in serie e trasmissioni televisive, videogiochi e altri prodotti multimediali è interamente frutto di sintesi o manipolazione digitale: nessuna orchestra reale, nessuno strumento fatto di legno o metallo l’ha mai suonata. L’effetto è ormai così realistico che non ce ne accorgiamo.

Ma la voce? Di voci sintetiche che parlano è già pieno il nostro quotidiano, dagli annunci in stazione ai vari risponditori e assistenti: per fortuna, siamo ancora mediamente in grado di riconoscere, all’ascolto, la differenza. La voce umana che canta è qualcosa di più difficile da sintetizzare. Qualche prova dimostrativa di cantanti d’opera virtuali che si trova online lascia parecchio a desiderare, come questa esecuzione (ormai datata, va detto) di «Una furtiva lagrima» dall’Elisir d’amore di Donizetti: https://www.youtube.com/watch?v=1wyiMm7N4Ss – forse non a caso le versioni più recenti dello stesso programma giapponese sembrano aver abbandonato l’opera, a favore di spezzoni vocali da impiegare in generi meno esigenti:

Ma non mancano prodotti digitali già più raffinati, che gli sviluppi tecnologici, facilitati dalla cosiddetta intelligenza artificiale, non mancheranno di migliorare nel prossimo futuro.


In attesa dei prodigi del canto virtuale (sempre piuttosto inquietanti, come tutte le contraffazioni dell’umano), fermiamoci a riflettere un momento sull’unicità della nostra voce, analogica e corporea. Il grande poeta seicentesco della meraviglia, Giambattista Marino, scriveva che fra le voci della natura quella dell’uomo «vince di varietà», poiché «il toro dal toro, e l’un dall’altro il lusignuolo o poco o nulla si può per muggito o per canto distinguere», mentre fra gli uomini «tante sono le voci secondo le differenze de’ volti, e prima che i volti per noi si veggiano, le voci si riconoscono» (Dicerie Sacre: «La Musica»). La voce, dunque, unica come il volto, e rivelatrice della persona anche quando il volto stesso è nascosto o altrimenti invisibile.

Uno scrittore influentissimo come Baldassarre Castiglione voleva la voce «sonora, chiara, suave e ben composta». Un altro autore cinquecentesco si avventurava in una sorta di fisiognomica della voce, sentenziando che quella di «huomini sciocchi e maligni» è «tremante come quella di pecore, roca, picciola et aspra», mentre la voce chiara dell’uomo modesto esce «senza niuna fatica e asprezza». San Carlo Borromeo sottolineava, da par suo, che la voce del sacerdote è sacris dicata, ossia dedicata alle cose sacre, e quindi non va abusata – la custodia della voce… un antico tema spirituale che sarebbe senz’altro d’attualità, per tutti!

Il gesuita Jeremias Drexel, in un suo trattato sul Paradiso (1635), immagina una cosa splendida: fra altri doni straordinari, nella Città di Dio ogni beato possiederà una voce polifonica, in grado insomma di emettere più suoni contemporaneamente e generare «sinfonia e concento». Come sarà mai, si chiede allora Drexel, il canto giubilante degl’innumerevoli policantori celesti? Se pensate che Drexel eccedesse in fantasia, ascoltate cosa può fare (su questa terra) una voce educata a padroneggiare la tecnica degli armonici:

Del resto si può cantare non solo in terra e in cielo: ma persino, lo credereste?, sott’acqua (non aspettatevi il belcanto, ma l’effetto è evocativo).


La voce, tanto più quand’è impegnata in quell’attività straordinaria e misteriosa che è il canto, magnetizza l’attenzione: non a caso sono spesso i cantanti, più ancora degli strumentisti, a suscitare l’entusiasmo del pubblico, quasi in tutti i generi, dalla classica al pop. Per restituire al suo splendore la «Furtiva lagrima» – sfigurata dal pur ingegnosissimo provino digitale di cui sopra –, ricorriamo allora a un tenore fra i più acclamati dell’attuale star-system operistico, Juan Diego Flórez:

Il dono della voce, coltivato con pazienza, ha portato Flórez dal Perú, e dal repertorio popolare sudamericano e creolo, ai grandi teatri del mondo (alla Scala, nel 2007, ha infranto il veto ai bis che durava dai primi anni Trenta!). Come altri grandi protagonisti della lirica (fra cui ovviamente l’inimitabile ed «eccessivo» Pavarotti), ha voluto condividere il suo dono con i più giovani, avviando in patria un progetto di «educazione musicale e trasformazione sociale», e non disdegna programmi crossover, dalle canzoni peruviane a quelle napoletane. A lui allora un finale pieno di spensierata luce mediterranea:

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