Una chiave per la «trap»

Una serata per parlare di «musica leggera» (o «popular music», come si dice oggi), in cui discutere di canzoni, cantanti, look, performance, qualità vocali e presenze mediatiche? La serata dello scorso 18 gennaio è stata questo, ma anche molto di più: l’obiettivo era conoscere meglio la cosiddetta musica «trap», con l’aiuto non solo di Michele Monina, noto critico musicale, ma anche di don Claudio Burgio, sacerdote impegnato con i ragazzi dei quartieri più difficili di Milano e cappellano del carcere minorile Beccaria (nonché musicista).

A ispirare l’incontro, organizzato dal Filo in collaborazione con le Parrocchie di San Luca e Santa Maria Bianca, la constatazione evidente di un rapporto diretto e problematico fra questo genere musicale e una precisa (e diffusa) realtà di disagio sociale e generazionale – nei quartieri e nelle piazze della nostra città –, più volte salita alla ribalta della cronaca negli scorsi mesi.

Michele Monina

Michele ci ha spiegato che la trap nasce – indovinate dove? – negli USA, all’inizio del terzo millennio, e poi dopo circa dieci anni si diffonde in Italia. Come oltreoceano, non è che i cantanti della trap “interpretino” con la loro musica un fenomeno sociale di disagio, rabbia, isolamento sociale. Piuttosto, la musica trap è creata e interpretata proprio da protagonisti diretti di questo disagio e di questa rabbia.

Presente  da tanti anni tra i ragazzi dei quartieri difficili di Milano, Don Claudio ha testimoniato che il malessere e la violenza crescono in particolare tra i ragazzi emarginati e “diversi” anche perché provenienti da famiglie extracomunitarie immigrate. Ragazzi nati in Italia, che hanno maturato aspettative e ambizioni di crescita sociale ed economica poi frustrate e respinte dall’emarginazione e dall’isolamento sperimentati nel quartiere, a scuola, anche per la loro provenienza etnica e culturale.

Nelle canzoni “arrabbiate” della trap non ci si preoccupa nemmeno, ci ha fatto notare Michele, di utilizzare testi facilmente comprensibili: gli artisti inventano e distorcono parole, e i versi annegano nel ritmo della musica. Vengono proposti testi che il nostro mondo, spesso istericamente “politically correct”, non ha il coraggio di criticare o condannare, nonostante il loro sessismo, e la loro celebrazione esplicita e realistica della violenza.  E l’anacronistica tolleranza di questi testi – da parte per esempio dell’industria discografica – è forse proprio l’espressione massima e contraddittoria di una pavida “correttezza politica”, finalizzata a evitare di riconoscere ed affrontare il dramma dell’esclusione ed emarginazione di tanti giovani.

don Claudio Burgio

La forte connotazione sociale della trap e al contempo la sua ampia diffusione fra i giovani e giovanissimi, anche al di fuori dei contesti “difficili”, richiedono  alcune riflessioni di natura educativa e sociale, come ci ha ricordato don Claudio. La disperazione di questi ragazzi nasce dall’isolamento, anche fisico, nei loro “ghetti” urbani: in realtà spesso sembrano addirittura non esistere per la scuola, la Chiesa, il quartiere e la città. Queste realtà non sanno parlare loro, affascinarli, offrire spazi di incontro e di crescita. Perché, ci ha richiamato don Claudio, le nostre comunità cristiane o civili non sono capaci di parlare a questi ragazzi, non sanno offrire luoghi, rapporti, incontri accoglienti e affascinanti?

Queste domande sono tanto più urgenti perché la diffusione della trap, e dei linguaggi e modelli cui si accompagna, ha trovato straordinari amplificatori nei social, che costituiscono il quotidiano mezzo di comunicazione e di relazione di tutti i nostri giovani.

Per questo il secondo incontro del ciclo, proposto presso la parrocchia di Santa Maria Bianca in Casoretto, rappresenta la naturale continuazione di queste riflessioni: la serata di mercoledì 1° febbraio offrirà l’opportunità di  approfondire la  conoscenza dei linguaggi “telematici” dei giovani, in particolare di Tik Tok e Instagram, le due piattaforme attualmente più gettonate. Anche da lì passa la trap, e da lì passano rapporti, contenuti, immagini, speranze, ambizioni e frustrazioni.

Ci aiuteranno due esperti dei rapporti tra social e mondo giovanile: don Marco Ferrari, sacerdote ed educatore, e Rosa Giuffré, esperta di comunicazione. Appuntamento al 1° febbraio, dunque!

Lascia un Commento