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RELIGIONE OPPIO DEL POPOLO?

«La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito. È l’oppio del popolo». (Karl Marx, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, 1843).
Che la religione sia «oppio del popolo» è un vecchio slogan noto a tutti. La religione rappresenterebbe un potente tranquillante somministrato al popolo, che ne sopprime le reazioni e gli toglie la forza di ribellarsi contro ingiustizie e soprusi.
Ma la religione può anche rappresentare un aiuto e/o una cura nella malattia e nei momenti di disagio e di stress? Numerosi studi hanno analizzato la relazione tra religione e salute.
Uno studio molto recente (Tyler Giles, Daniel M. Hungerman, Tamar Oostrom, Opiates of the masses? Deaths of despair and the decline of american religion, National Bureau of Economic Research, Working Paper 30840 – USA, gennaio 2023) ha analizzato in particolare la relazione tra la pratica religiosa e l’incidenza delle morti che risultano da un profondo disagio esistenziale (le cosiddette despair deaths, ovvero morti per alcoolismo, suicidio, droga).
Religione per «fare fronte» o per «curare»?
La riflessione sulla relazione tra religione e salute ha talvolta rispecchiato tendenze radicali che attribuivano alle fede poteri taumaturgici, di guarigione dalle malattie. In realtà riflessioni più equilibrate si sono concentrate sulla capacità della religione di sostenere le persone in situazioni di stress e difficoltà. La religione, come hanno sottolineato molte ricerche scientifiche, contribuisce a «fare fronte» (to cope), piuttosto che a «curare» (to cure) le malattie.
In un articolo molto stimolante su questo argomento (B. Grom S.J., La fede guarisce?, «La Civiltà Cattolica», n. 3858, 2011) l’autore rileva che «la fede non muta direttamente la situazione fisica, che è condizionata in gran parte geneticamente da fattori biologico-neurologici … ma agisce con un influsso psico-sociale e intrapsichico (cognitivo-emotivo) … Questo influsso spirituale agisce presumibilmente dal lato psicosomatico, riducendo lo stress e aumentando positivamente le attese, ma non come impulso particolare conferito ai processi di guarigione, bensì soltanto come una loro protezione».
Per questo risultano particolarmente interessanti alcuni studi recenti che analizzano la relazione tra la pratica religiosa e gli effetti anche letali della disperazione e dello stress.
Pratica religiosa e morti per disperazione
La principale conclusione della ricerca pubblicata lo scorso gennaio suggerisce che a un’assidua pratica religiosa corrisponde una minore frequenza di morti per disperazione come suicidi, oppure morti causate da droga e alcool.
Lo studio osserva ad esempio che a una strana inversione della tendenza di lungo periodo del calo di mortalità «per disperazione» corrisponde una riduzione significativa della pratica religiosa.
Da una parte il grafico seguente mostra l’evidente inversione del calo delle morti per stress o disperazione tra i bianchi americani di 45-64 anni a partire dal 1992-1993.
Trend di mortalità tra bianchi americani, 45-64 anni

Dall’altra si osserva a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta un evidente aumento della quota di persone con un tasso di pratica religiosa ridotto ai minimi termini (frequenza alle celebrazioni non più di una volta all’anno). Particolarmente evidente l’aumento appunto tra gli americani bianchi tra i 45 e i 64 anni.
Frequenza della pratica religiosa molto limitata (al massimo annuale) negli USA

Il contributo della pratica religiosa per la riduzione delle desperate deaths è confermato da una analisi statistica effettuata sui dati di diversi Stati degli USA alla fine degli anni Ottanta: negli Stati caratterizzati da una pratica religiosa più elevata si rilevano minori tassi di mortalità per alcoolismo, suicidio o droga.
Pratica religiosa e tasso di desperate deaths negli Stati degli USA

Ma lo studio dello scorso gennaio segnala anche un altro elemento a conferma di questa relazione. Negli Stati Uniti, durante gli anni Ottanta, numerosi Stati hanno cancellato le leggi (blue laws) che proibivano varie tipologie di attività commerciale nei giorni festivi. La cancellazione delle blue laws ha consentito la frequentazione di negozi e centri commerciali nei giorni festivi, contribuendo significativamente a ridurre la presenza ai servizi religiosi domenicali. Lo studio mostra un aumento statisticamente significativo delle morti «per disperazione» in coincidenza con l’abolizione delle norme che vietavano apertura delle attività economiche nei giorni festivi e con la conseguente riduzione della frequenza ai servizi religiosi.
Risultati analoghi sugli effetti della pratica religiosa sono stati osservati in uno studio del 2020 pubblicato sul prestigioso «Journal of the American Medical Association» (Ying Chen et al., Religious Service Attendance and Deaths Related to Drugs, Alcohol, and Suicide Among US Health Care Professionals, «JAMA», luglio 2020). Lo studio ha analizzato un campione di 110.000 lavoratori del settore sanitario, per un periodo superiore a quindici anni, rilevando che la frequenza alle celebrazioni religiose almeno una volta alla settimana corrispondeva a una riduzione dell’incidenza di morti «per disperazione» pari al 68% tra gli uomini e al 33% tra le donne.
Conclusioni
Anche se la dimensione religiosa non sembra contribuire direttamente alla «cura» delle malattie, la pratica religiosa aiuta a «fare fronte» alle vicende faticose, dolorose e stressanti della nostra vita, tra cui anche l’insorgenza di gravi problemi di salute.
È importante notare che le ricerche richiamate in questo articolo si riferiscono alla pratica religiosa intesa come partecipazione a eventi e incontri, ovvero alla ricchezza di quelle relazioni sociali significative che spesso sorgono dalla fede vissuta e condivisa nelle comunità ecclesiali locali. Il sollievo alla disperazione e allo stress non è l’effetto di una fede vissuta privatamente. È piuttosto la dimensione comunitaria dell’esperienza religiosa che sembra sostenere e rafforzare la capacità di non cedere alla disperazione nei momenti di stress e di difficoltà.
Papa Francesco nei momenti più bui della pandemia non annunciava il potere taumaturgico («curare») della fede per la soluzione di quella terribile crisi sanitaria, ma ricordava che grazie alla fede «Scopriremo che non c’è imprevisto, non c’è salita, non c’è notte che non si possano affrontare (“fare fronte”) con Gesù» (Regina Coeli del 26 aprile 2020).

Laureato alla Università Bocconi e alla University of Chicago, assiste gruppi industriali, gruppi familiari, fondazioni bancarie, enti non profit per la gestione del loro patrimonio mobiliare.