O novo canto… [#01]

Pagina miniata dal Laudario di Sant’Agnese (c. 1340), New York, Morgan Library.

«O novo canto, c’ài morto el planto / de l’omo enfermato!». Così inizia una lauda di Iacopone da Todi (†1306), il ‘pazzo di Cristo’ francescano che predicò in poesia. E qual è questo canto nuovo che sopprime (letteralmente: uccide!) il pianto dell’uomo infermo? È il movimento dell’incarnazione di Cristo, Verbo che scende armoniosamente dalle più alte note celesti («Sopr’el fa acuto me pare … tal canto se pona») alla gravità dell’esistenza terrena («e nel fa grave descenda suave»). La poesia di Iacopone, che sarebbe da recitare e commentare per esteso, definisce tutto uno spazio sonoro, con gli angeli («cantaturi iubilaturi») che fanno coro – come li vediamo in tante natività: vogliamo dire Botticelli? –, i santi che intervengono alternandosi, e gli uomini, tutti, «peccaturi» e «iusti», invitati da Dio stesso, compositore e scrivano, a unirsi al canto: «venite a ccantare»!

O novo canto, c’ài morto el planto…

… de l’omo enfermato!
Sopr’el «fa» acuto me pare en paruto
tal canto se pona
e nel «fa» grave descenda suave,
ché el Verbo resòna.


Mi è capitato di leggere questa lauda nei giorni dello scorso Natale – il Natale 2020 in zona rossa (ora siamo a Pasqua: il colore liturgico sarebbe il bianco, purtroppo quello pandemico è rimasto scarlatto). Non ho potuto non pensare che in questo tempo «enfermato» (la parola infermo significa «malato» e «costretto all’immobilità»: quale termine più adatto a noi oggi?) tra le forse secondarie ma più moleste privazioni c’è proprio quella del canto. Non si può cantare insieme, o solo malamente imbavagliati e distanti, e il respiro, che della voce è il sostegno, è filtrato e sospetto. Eppure, come sa chiunque ne abbia fatto esperienza (o si fidi ancora dei poeti), il canto davvero è antidoto al pianto. «Cantando il duol si disacerba», dice Petrarca (Canzoniere, XXIII, 4: dove «cantare» è inteso naturalmente come sinonimo di «poetare», ma tant’è). Se non possiamo disacerbare il dolore cantando insieme (a meno di considerare qualche brillante surrogato telematico), forse possiamo riflettere un po’ su questa singolare prerogativa umana, e cristiana. Sì, perché di cristiani che cantano è piena la storia. Per mille motivi, ma certo anche perché il canto è fatto di carne e di aria, corpo e respiro, materia e spirito, e quindi, come Iacopone ci suggerisce, è sigillo e simbolo dell’incontro felice dell’incarnazione. Non solo: tante vicende, antiche e recenti, ci insegnano che nella ricerca della propria voce si trovano impensabili risorse interiori, e nel canto collettivo potenti energie di comunione. Vogliamo giocare ancora con le etimologie? L’altro significato di infermo è «debole, privo di saldezza morale … incapace di resistenza». Ben venga, dunque, un canto che ci ‘disinfermi’!

«O novo canto» sarà, allora, come uno di quei ritornelli che alle volte aiutano a far passare minuti e chilometri quando la marcia diventa noiosa o faticosa: in brevi puntate raccoglieremo e ascolteremo storie di canto, sfruttando gli immensi archivi multimediali della rete. «Cantantes licet usque (minus via laedet) eamus…» (Virgilio, Bucoliche, Ecloga IX, 64): procediamo cantando, e la via sarà meno spiacevole!


E, dato che abbiamo aperto il nostro percorso con una lauda, non sarà male fare subito conoscenza con questo genere di canto, che ebbe la sua culla nell’Italia centrale. La più antica raccolta di laude con notazione musicale che si sia conservata, e forse la più famosa in assoluto, è il Laudario di Cortona (fine XIII sec.), che vediamo brevemente presentato in questo video. La lauda fiorì a più riprese per vari secoli in molte parti d’Italia, ma alcune laude dello strato più antico ci sono tutt’ora familiari, grazie a un’intelligente opera di recupero che negli scorsi decenni le ha reimmesse nel repertorio delle comunità cattoliche: ad esempio, la lauda sulla Passione De la crudel morte de Cristo, o quella natalizia Gloria ’n cielo e pace ’n terra (che in questo video vediamo eseguita da un trio di frati minori):

È meno facile di quanto si creda trovare buone incisioni, forse perché la lauda mal si adatta ad essere ‘fissata’, e respira meglio in un’esecuzione dal vivo: ma ecco una versione esemplare e suggestiva di un’altra lauda cortonese, Laude novella sia cantata: https://www.youtube.com/watch?v=mUY-J4GmHUo (un’alternativa più travolgente? qui – e pazienza per la pronuncia un po’ iberica!).

Antica e stranamente moderna è la forza di queste melodie, radicata nei testi che veicolano e capace di ispirare sempre nuovi arrangiamenti. A concludere questa prima serie di assaggi ecco allora un’altra celebre e amatissima lauda, Troppo perde il tempo chi ben non t’ama, in una esecuzione vocale molto pulita:

Quindi in una sorprendente versione dal sound mediorientale, ispirata all’incontro di san Francesco con il Sultano Malik al-Kāmil nel 1219:

E infine (ma in realtà il gioco potrebbe continuare più a lungo…) in una recente reinvenzione strumentale del jazzista sardo Paolo Fresu:

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