Noi siamo quelli che possono sorridere

La nostra amicizia data da quando avevamo 18-19 anni; dopo la scuola superiore io, Luisa e Marina scegliamo di iscriverci insieme a Lingue.

Non è soltanto lo studio ad unirci, ma un’amicizia precedente, fatta di tante cose: fede, convinzioni e certezze, confidenze, amici; e poi, non ultimo, un grande amore per la musica.

Da quel primo anno di corso in poi diventano indimenticabili i nostri canti durante le feste e le serate alle vacanze studio.

Marina e Luisa fanno parte dello stesso coro. Io, che essendo studente pendolare non riesco a partecipare ma desidero cantare con loro, mi studio da sola gli spartiti. E mentre loro eseguono le parti da soprano e contralto, per completare la polifonia non ho altra scelta che… imparare una voce maschile.

Le prove di questo mini-coro si svolgono quasi ogni giorno: negli ampi corridoi dell’università, su e giù per gli scaloni. Che acustica, come risuonano bene quelle armonie!

E il nostro ‘inno’ intonato prima degli esami per farci forza? Cantiamo con coraggio e autoironia «noi siamo quelli che possono sorridere / sull’orlo della morte in piena luce!». E così, insieme, ci prepariamo alla grande sfida dell’esame che ci fa tremare quasi come la morte.

Il testo del canto «Al final» sbobinato da noi che nella versione originale dice invece: «restiamo quelli che possono sorridere» (*)

Poi alcuni viaggi all’estero per imparare le lingue, durante i quali non passa giorno senza musica: cantiamo ai bordi delle strade di Heidelberg, sui prati lungo il fiume Neckar, nello studentato; in metropolitana a Londra (raccogliendo soldi!) o per chiunque voglia ascoltarci. In repertorio una serie successi di quegli anni, italiani ma soprattutto stranieri e in particolare inglesi. Il genere country e tutto il repertorio dei Beatles per i quali Luisa letteralmente stravede.

Dopo un paio di anni Luisa si trasferisce per continuare gli studi in un’altra città. Ma la musica rimane uno dei nostri ‘collanti’, tra amici, gite e altri momenti comuni; a cui si aggiunge qualche mio viaggio nella sua sede di studio a trovare lei e… a cercare la mia strada nella vita.

Così il nostro connubio canoro continua fino oltre la laurea, mentre le nostre vite prendono anno dopo anno vie diverse: la ricerca del lavoro, i loro rispettivi matrimoni, il mio trasferimento in un’altra città. Negli ultimi – numerosi – anni una amicizia in sottofondo, con rarissime frequentazioni da parte mia.


Poi, la recente malattia di Luisa; precoce, feroce, dura.

Marina in ottobre mi scrive che vuole andare a trovarla e, poco tempo dopo, mi racconta che durante la sua visita hanno cantato un po’. Infine, le ha promesso di tornare; insieme a me. «Assolutamente sì! Devo proprio venire!» rispondo. Naturalmente con la mia chitarra e il nostro collaudato repertorio di canti.

Riusciamo a recarci da Luisa subito dopo Natale. Quello che immaginavo è proprio vero. Ci guarda, senza parole.

Dopo i primi impacciati saluti e qualche battuta mia e di Marina, tentiamo la strada del canto con i nostri cavalli di battaglia anni ’60, ’70 e forse qualcosa di più recente – ma non oltre i primissimi anni ’80.

Istantanee dai nostri quaderni dei canti

Terminato il primo pezzo io e Marina siamo già al settimo cielo e prorompiamo in grida di esultanza: «Evvai, proprio come a vent’anni! Siamo ancora noi!».

Luisa invece ha gli occhi lucidi: un pianto silenzioso. E ha cantato. Non con le parole che non riesce a dire, ma solo con la melodia; e, man mano che proseguiamo per un’ora e mezza di brani infilati uno dietro l’altro, improvvisa anche alcune polifonie.

Ciak, si canta!

La musica apre una breccia, c’è qualcosa che non si è mai perduto. Allora spuntano le seconde voci e, in alcuni canti, anche qualche parola ripetuta copiando le nostre o cercando di leggere i testi, e talvolta indicando i nomi dei suoi cantanti preferiti scritti accanto ai titoli dei brani.

Ho portato con me il mio vecchio quaderno di canti: quello su cui in quegli anni trascrivevo tutti i testi a mano, oppure incollavo ritagli di giornale o le fotocopie delle parole. In prima pagina c’è una foto di noi due insieme che Marina ci aveva scattato in metropolitana a Londra con altri strani personaggi incontrati quel giorno, dopo un intero pomeriggio di canti. Che ricordi quel mio quaderno… e siamo tutte lì, stupite, col dito puntato sulla fotografia: eravamo proprio noi quelle ventenni gioiose!

Londra agosto ’82 – pomeriggio musicale in metropolitana

Torniamo a girare le pagine per scegliere altri canti e compare Sad Lisa di Cat Stevens, un pezzo che interpretavamo spesso in quegli anni e che ricordo ancora a memoria. Propongo di eseguirlo, ma Marina non vuole. È un canto assai triste, sia nel testo che nella musica, e forse non è il caso. Mentre noi siamo piene di gioia e Luisa sorride, è tutta sguardi e risa ingenue.

Mentre prendiamo un attimo di respiro tra un canto e l’altro, di sorpresa arriva Gianni, il marito di Luisa. Era al lavoro ma è tornato brevemente apposta per noi, in particolare per me che non lo vedevo, si può dire, da secoli. Con quale calore ci saluta! Scambiamo alcune parole mentre lui ci mostra il pesce che cucinerà per cena e ci fa anche un piccolo regalo.

Le sue giornate da un po’ di tempo sono misurate dai ritmi di Luisa, ma in tutto questo ci colpiscono molto la sua leggerezza e dedizione.
Pochi minuti e ci deve già salutare, abbraccia Luisa e, nella semplicità totale, è felice.

Ora capiamo perché anche lei è contenta.
Dietro il suo sguardo colmo di domanda, qualcosa davvero non si è spento, c’è un’anima da bambina, tornata all’origine. Affidata. Come accennava Papa Francesco la notte di Natale parlando della «grazia della piccolezza», nell’omelia che rileggo con sorpresa un paio di giorni dopo e che mi rimane impressa proprio per questo. (**)  

Forse per Luisa questa mattinata canora insieme non sarà una terapia decisiva, ma il canto ci ha animato. La musica ha fatto emergere qualcosa: una bellezza, un bene, un canto dell’anima; ha fatto rifiorire una freschezza e una armonia. Anche una dolcezza.

Sono colpita dal mistero che c’è in ognuno di noi, anche quando stenta a farsi strada come espressività, a comunicarsi a parole. Ma c’è, è tangibile, reale. Un grande mistero al fondo di ogni donna e di ogni uomo, comunque sia.

Heidelberg agosto ’83 – Concerto nella Hauptstraße

Attraversando il ponte del tempo, noi siamo qui. Tutte e tre, presenti, vive. Nella bellezza. Non con la nostalgia di un glorioso passato, ma grate per quel che abbiamo ora. Con la nostra compagnia di amici che ci sostiene, la nostra fede forte e debole, la nostra musica e la nostra grande amicizia ancora solida.

Guardiamo avanti cantando e – lo leggo sul volto delle mie due amiche salutandole – «siamo quelle che possono sorridere», ancora.


(**) Leggi l’omelia di Papa Francesco del 24 dicembre 2021 (qui)

(*) Ascolta Al final interpretata dal Gruppo Zafra

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