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Boris Godunov, ovvero il dramma del popolo russo

La trama dell’opera
La prima versione del Boris Godunov fu rifiutata, nel 1869, dal Teatro Imperiale di S. Pietroburgo: non per banali vicende di censura, ma perché la commissione teatrale non riteneva che così dovesse essere un’opera.
E d’altronde, solo sette anni prima lo stesso teatro aveva pagato sessantamila franchi a Giuseppe Verdi per comporre La forza del destino, soggetto sostanzialmente di cappa e spada ambientato nel Settecento borbonico tra Italia e Spagna, con la solita vicenda d’amore tra tenore e soprano, e il baritono che si mette di mezzo.
Musorgskij invece aveva presentato un’opera senza ruoli principali femminili, senza storie d’amore, senza morale: una sorta di documentario storico cantato, accompagnato da un’orchestra sinfonica, su un fatto all’epoca ritenuto acclarato. La prima esecuzione di quella versione si ebbe solo nel 1928, al Teatro Kirov di Leningrado, cinquant’anni dopo la morte del compositore. Musorgskij si dovette piegare, e modificò la sua opera perché fosse rappresentata.
Alla Prima della Scala del 7 dicembre 2022 è stata eseguita la prima versione, il cosiddetto Ur-Boris.
Il soggetto è storico: Boris Godunov è stato uno Zar (1598-1605), asceso al trono poiché sua figlia aveva sposato l’unico figlio maschio sopravvissuto (e mentalmente disabile) di Ivan il Terribile. In realtà, Ivan aveva un altro figlio, Dimitri, che però morì quantomai opportunamente (per Boris) mentre era bambino in un ‘incidente domestico’ mai del tutto chiarito. I suoi nemici fecero circolare la voce che il mandante della morte fosse Boris (non ancora salito al trono ma già reggente), e questo all’epoca di Puškin era considerato un fatto acclarato, nonostante l’inchiesta ufficiale condotta dal principe Šujskij parlasse di evento accidentale.
Dopo circa sette anni di regno perfino illuminato per gli standard dell’epoca, con pace, scambi commerciali, clima politico quasi liberale se paragonato a quello di Ivan il Terribile, la comparsa in Lituania di un impostore che si spacciava per il bambino assassinato (il cosiddetto Primo Falso Dimitri, perché poi ne arriveranno altri due) causò a Boris prima la pazzia, poi la morte. Musorgskij non ha mai fatto mistero di aver tratto il libretto dall’opera storica di Karamzin, volta in dramma da Puškin, e dal Macbeth di Shakespeare.
Il popolo russo: protagonista dell’opera insieme a Boris
Secondo il maggior critico d’opera italiano, Alberto Mattioli, il Boris Godunov ha due protagonisti: oltre a Zar Boris c’è anche il Popolo Russo, impersonato ovviamente dal coro.
Il popolo compare, nel Boris, due volte e mezza. La prima all’inizio dell’opera, mentre canta a comando delle guardie prima per spingere il ‘boiaro’ (nobile russo, non ancora zar) Boris, ad accettare il trono, poi per acclamarne l’incoronazione il giorno dopo. Il popolo viene ritratto come una massa sottomessa e vile, che canta sotto minaccia della violenza e sotto la cappa della Religione di Stato. Il timore, più dei boiari e del clero che del popolo, è l’anarchia che si potrebbe verificare in presenza di un vuoto di potere. La scena dell’incoronazione è un trionfo spettacolare e sovraccarico di ori, corone, croci, icone e quant’altro si possa immaginare.
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La seconda volta il popolo compare all’inizio della quarta parte, all’uscita di una Messa, sette anni dopo, mentre commenta le voci incontrollate e pazzesche sulle vittorie che l’esercito dell’Usurpatore starebbe mietendo contro le armate di Boris, della cui stirpe si invoca la morte. Salvo però, non appena compare lo stesso Boris, acclamarlo come padre chiedendo una sola cosa: pane. Anche qui, una massa credulona e ululante che chiede soltanto di essere sostentata.
Il testo del coro è chiarissimo:
«Padre nostro, fai la carità per amore di Cristo!
Padre nostro, sovrano, per amore di Cristo!
Lo zar, arriva lo zar!
Zar, signore, fai la carità per amore di Cristo!
(appare Boris, dietro di lui Šujskij e i boiari)
Benefattore nostro, fai la carità per amore di Cristo!
Signore, padre, per amore di Cristo!
Padre nostro, dài del pane! Pane agli affamati!
Pane! Pane! Dacci del pane, padre, per amore di Cristo!
(si inchinano fino a terra)».
Nel mezzo, durante la terza parte, Boris considera amaramente il comportamento del suo stesso popolo:
«Pensavo di placare il mio popolo con l’abbondanza e la gloria, di ottenere il suo amore con la generosità, ma ho abbandonato questo inutile assillo. Che follia è la nostra, quando lasciamo che il nostro cuore vanitoso sia turbato dagli applausi del popolo, o dalle sue grida violente!
Dio ci ha mandato la fame, il popolo ha cominciato a gemere, soffrendo nei tormenti. Ho ordinato di aprire i miei granai, ho distribuito il mio oro, ho trovato loro lavoro.
E loro, infuriati, mi hanno maledetto!
Il fuoco degli incendi ha distrutto le loro case, e il vento ha disperso i resti delle loro capanne. Ho fatto costruire nuovi alloggi, distribuire vestiti, li ho ospitati, li ho riscaldati, e loro mi hanno incolpato dell’incendio.
Ecco come giudica il popolo!».
Certamente Boris non era il primo autocrate a lamentarsi più o meno negli stessi termini della dissennatezza del suo popolo, e sappiamo che non sarà l’ultimo (non solo in Russia).
Per onestà, bisogna ricordare che Musorgskij aveva qualche motivo per non amare il popolo: figlio di un ricco proprietario terriero, non nobile, aveva subito un grave rovescio economico quando lo zar ‘liberale’ Alessandro II, nel 1861, aveva abolito la servitù della gleba. La sua carriera militare si era scontrata con la sua non appartenenza alla nobiltà, che gli precludeva i gradi maggiori. Lui si era dovuto trasferire in campagna per le ristrettezze, e aveva iniziato ad affogare i dispiaceri nell’alcol. Il Boris è la prima opera composta dopo questa ‘catastrofe’.
Anche la Duma dei Boiari non ne esce bene: dipinta come un covo di serpi dedite alle congiure, e con alcuni tratti di grottesco quando discutono di come, prima di uccidere l’Usurpatore, sia necessario arrestarlo.
Infine, il popolo canta l’Innocente (o Folle in Dio), la figura che nella letteratura russa corrisponde al fool di Shakespeare e che dice la verità:
«Sgorgate, sgorgate, lacrime amare, piangi, piangi, anima ortodossa!
Presto arriverà il nemico e scenderanno le tenebre,
tenebre oscure, impenetrabili.
Sventura, sventura sulla Russia!
Piangi, piangi, popolo russo, popolo affamato!».
In effetti, la morte di Boris aprì il periodo cosiddetto «dei torbidi», in cui il trono cambiò frequentemente padrone, sempre per fatti di sangue. Cinque Zar in otto anni trascinarono l’Impero in guerre volte a ottenere l’appoggio di potenze straniere. Regnarono per breve tempo sia il Falso Dimitri, sia lo stesso Principe Šujskij. Nel 1613 l’inizio della Dinastia Romanov riportò l’ordine.
Anche lo Zar Alessandro II (Romanov), dopo ventisei anni di regno in cui aveva tentato di traghettare l’Impero da uno stato sostanzialmente medievale a uno moderno, fu assassinato nel 1881. Salirono al trono Alessandro III e poi Nicola II, ristabilendo l’assolutismo imperiale e ponendo le basi per la Prima Guerra Mondiale e un’altra Rivoluzione. Insomma, non finì benissimo.

In generale, l’opera di Musorgskij è molto più simile ad un dramma in musica di tipo wagneriano che a un’opera lirica secondo la tradizione italiana. La musica non si interrompe mai, non ci sono vere e proprie arie. Tuttavia, la differenza più significativa con le opere verdiane, che sono coeve, è proprio nel ruolo del coro come rappresentante del popolo. Nelle opere di Verdi, il coro ha spesso un ruolo ‘politico’ (dal Va’ pensiero, al Patria oppressa, ai cori di Aida, Traviata, Lombardi, Don Carlo ecc.), spesso intriso di moralismo ma che identifica una tensione morale collettiva, o almeno il tentativo.
Anche prescindendo dal malanimo di Musorgskij, non si può non apprezzare come invece l’incapacità (o perfino l’assenza del tentativo) del popolo russo di darsi una coscienza civile ne abbia fatto il co-protagonista, e soprattutto la vittima, del dramma di Boris Godunov, e di molti altri.
Riferimenti
La registrazione video in alta definizione della Prima del 7 dicembre è qui:
La versione su youtube (https://www.youtube.com/watch?v=fw31soiMo24&t=4800s) elimina la parte di intrattenimento nazional-popolare della RAI, ma non ha i sottotitoli che qui oggettivamente aiutano.
Sebbene la regia abbia alcuni elementi contemporanei al di fuori dell’ambientazione originale, è sostanzialmente fedele alle indicazioni di Musorgskij.
La scena di Boris che amaramente contempla il comportamento del popolo russo è a 2:01:00 della versione Raiplay. A seguire, c’è direttamente l’ultima scena di popolo che culmina nel grido, assordante e volutamente dissonante, di «Pane!». Da lì in avanti, la follia di Boris precipita.
La traduzione del libretto dal russo è di Fausto Malcovati e Cristina Moroni, utilizzata dal Teatro alla Scala.
Ingegnere, lavora nel settore finanziario, diplomato al Conservatorio e appassionato di musica lirica