Allenare lo sguardo [#02]

«Quando uomini e montagne si incontrano, grandi cose accadono» (William Blake)

Quando a incontrare le montagne sono gli uomini di fede, tra le grandi cose che accadono c’è anche la nascita di luoghi di speciale intensità spirituale. I Sacri Monti sono una delle più note e frequentate manifestazioni di questo felice incontro.

Per molti di noi milanesi il più familiare è probabilmente il Sacro Monte di Varese: in tanti abbiamo percorso il suo viale acciottolato, magari pregando il Rosario il sabato mattina, fino al borgo di Santa Maria del Monte, ammirando cappelle, statue e fontane barocche che accompagnano la salita. Ma la storia di questo luogo è molto più lunga e affascinante del viale seicentesco che la percorre, ha radici antiche e sviluppi contemporanei, ed è su questi che ci soffermiamo questa volta.

Sacro contemporaneo

Intrapresa la salita, avvicinandosi alla terza cappella l’occhio coglie una macchia di colore acceso (ora ancor di più grazie al restauro recentissimamente concluso): la Fuga in Egitto, dipinta da Renato Guttuso nel 1983 su invito di Monsignor Pasquale Macchi per sostituire l’ormai irrimediabilmente danneggiato affresco di Carlo Francesco Nuvolone.

Una scelta – quella di chiamare a intervenire in un luogo così sacro e ‘identitario’ un artista fortemente schierato per il comunismo – che all’epoca fu al centro di un dibattito acceso. La portata dell’iniziativa fuori dagli schemi di Mons. Macchi si coglie ancor di più se si considera che esattamente quarant’anni prima la Curia di Bergamo aveva addirittura interdetto ai sacerdoti, pena la sospensione a divinis, la visita alla mostra che esponeva la Crocefissione di Guttuso, definito pictor diabolicus: «D’ordine di S. E. Monsignor Vescovo, si dà avviso a tutto il Clero della diocesi ed a quello che fosse di passaggio per la nostra città, che è ad esso proibito l’accesso alla Mostra del Premio Bergamo». L’artista, tuttavia, che conosceva e amava queste zone dove da trent’anni soggiornava spesso, accolse con calore la proposta, soprattutto perché vide nella scena da rappresentare un soggetto vicino al suo sentire. Nel volto segnato di Giuseppe, nel gesto protettivo di Maria, nel dettaglio delle poche masserizie e degli arnesi da lavoro caricati sull’asino, il pittore raffigura il dramma di tutti i perseguitati della Storia.

Renato Guttuso, Fuga in Egitto (III Cappella). Ph. Torsade de Pointes, CC0, via Wikimedia Commons

Il racconto evangelico si ripete ai nostri giorni. Ho fatto un dipinto mio vedendo il tema della Fuga non secondo schemi manieristici ma nella contemporaneità. Ai nostri giorni, infatti, l’esodo dalla propria terra per scampare da una oppressione è spesso presente […] Io sono fiero di aver fatto un dipinto efficace, comprensibile, attraente, di immediato contatto, senza stupidi intellettualismi, modernismi, complicate operazioni linguistiche.

Questo dipinto è stato concepito per il luogo dove si trova, «La Prealpina», 1° agosto 1984

D’altra parte, il rapporto di Guttuso con la fede non era di rifiuto o chiusura:

Si sono molto stupiti che un pittore comunista abbia dipinto una scena di carattere così religioso. Ma, anche se comunista, io ho un senso religioso della vita […] Del resto, ritengo di essere un pittore ‘civile’; e l’aderire agli ideali civili contiene sempre un elemento religioso.

Non dirò mai che sono ateo (intervista rilasciata a E. Ferri), «Panorama», 1085, 1° febbraio 1987

L’artista forse «credeva di non credere», come recita il titolo di un saggio su di lui: l’essenza della sua opera è colta però dalle parole pronunciate dal cardinale Angelini al suo funerale:

«L’eternità della sua arte è anch’essa momento e segno dello spirito che accomuna tutti gli uomini e che li predispone al mistero».

Prima del Sacro Monte

Proseguendo per il viale delle Cappelle si raggiunge la vetta, dove sorge l’imponente santuario fatto costruire dagli Sforza nel Quattrocento, ora abbagliante di stucchi, affreschi e ori aggiunti in epoca barocca.

L’interno del santuario, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, attraverso Wikimedia Commons

Ma questa non è che l’ultima tappa di una storia di fede che ha inizio tra V e VI secolo. Quando su quello che allora era solo «il monte di Velate» non c’erano che boschi e pochi disagevoli sentieri, sulla sommità fu costruito un piccolo luogo di culto: le sue labili tracce – un brandello dell’abside e poco altro – sono state scoperte solo nel 2012, e oggi si possono vedere al di sotto dell’altare maggiore. Prima di questa scoperta si poteva far risalire la storia del santuario ‘solo’ agli inizi del X secolo, ma l’aver compreso che le sue origini sono ben più antiche, risalenti agli anni turbolenti tra l’età gota e quella longobarda, getta una luce nuova sul suo significato. Quel piccolo sacello fu sostituito quattrocento anni dopo da una chiesa più adeguata alle nuove esigenze, scavata in parte della roccia viva del monte: nel giro di due secoli anche quella non fu più sufficiente, e divenne la cripta dell’edificio romanico, a sua volta poi soppiantato da quello quattrocentesco oggi visibile. In questa ‘stratificazione’ di chiese quello che non venne mai meno è il cuore del luogo sacro: l’altare maggiore, la cui posizione è sostanzialmente invariata da 1400 anni. Intorno all’edificio nei secoli furono sepolti numerosi devoti, evidentemente attratti dalla sacralità del luogo: fra i tanti, particolarmente nota è la pellegrina medievale, deposta insieme al suo bordone (il tipico bastone del pellegrinaggio), che qui concluse la parte terrena del suo viaggio.

Grazie a un recente imponente restauro, da poco è di nuovo possibile visitare la cripta medievale: sulla parete dell’ingresso incontriamo nuovamente la Sacra Famiglia, questa volta in una dolce, sebbene ingenua, e ‘modesta’ dal punto di vista artistico, Natività della fine del Trecento.

La Natività della Cripta.
Fonte: http://www.sacromontedivarese.it/content/images/appuntamenti/header/Nativit%C3%A0_2.jpg

Si conclude qui, davanti a questa culla, la nostra ascesa a questo pezzo di roccia prealpina nel quale generazioni di fedeli hanno scavato, costruito, dipinto e soprattutto pregato, fino a trasformarlo nel Sacro Monte oggi Patrimonio dell’Umanità.

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